M. Ferretti - La pesca adriatica
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  • 5 Dicembre 2019 Data di creazione
  • 5 Dicembre 2019 Ultimo aggiornamento
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         Che l'Adriatico sia il mare più pescoso tra i mari che circondano d'Italia e cosa ben nota.

         Ciò non ostante i problemi di cui la pesca soffre si sentono e anche pesantemente pure in Adriatico.

         La pesca in Adriatico è condotta prevalentemente con reti da traino con pescherecci di discreta potenza; trattasi infatti di fondi in gran parte strascicabili e quindi che si prestano per essere valorizzati con reti da traino.

         Le catture sono generalmente buone se paragonate a quelle effettuate in altre zone, ma in ogni caso piuttosto scarse e quindi non in grado di dare sicurezza di buona redditività alle imprese che in Adriatico operano.

         In altre parole l'Adriatico è pescoso, ma non al punto da garantire un sicuro reddito agli operatori della pesca.

         Evidentemente la pressione esercitata sulle risorse è molto alta ed unitamente ad altri condizionamenti ambientali di origine anche antropica ciò porta ad un contenimento dei ricavi che non permette una rosea visione per il futuro dell'attività.

         Come ben noto lo sforzo di pesca esercitato è molto alto anche se si è cercato di contenerlo con vari provvedimenti quali il fermo tecnico, la riduzione delle giornate lavorative settimanali, il fermo biologico.

         Ciò è determinato da un inevitabile aumento della capacità di pesca, che pur tenuta rigidamente sotto controllo con molti provvedimenti, continua a crescere.

         Se infatti da una parte, vi è, col sistema della licenza applicato in Italia e con i regolamenti comunitari, un impedimento ad aumentare sui nostri pescherecci stazza e potenza che sono i parametri con cui si indicano capacità e sforzo di pesca, dall'altra lo sviluppo tecnologico permette maggiore efficacia alla attività di pesca e quindi aumenta lo sforzo ed inoltre negli altri paesi della riva orientale non sono ancora efficacemente operanti limitazioni all'aumento delle capacità di pesca.

         In pratica quindi, non ostante tutte le limitazioni, lo sforzo di pesca non è diminuito anzi è aumentato portando inevitabilmente alla riduzione delle catture per singolo peschereccio, pur restando sostanzialmente costanti le catture annuali totali Adriatiche, almeno per quanto le statistiche, molto deficitarie in questo settore, permettono di conoscere.

         In queste condizioni la pesca come attività economica diventa molto vulnerabile e soggetta a tensioni ed imprevisti.

         Per dare sicurezza alle imprese e permettere loro di guardare senza troppi patemi d'animo al futuro è necessario che ci si adoperi per conservare le risorse dell'Adriatico contenendo lo sforzo di pesca ed intervenendo su tutti gli altri fattori che possono avere influenza sull'abbondanza delle risorse.

         E' chiaro che questo non è un problema che l'Italia può affrontare da sola. In Adriatico si affacciano altri paesi alcuni con flotte di pesca abbastanza consistenti ed in rapido sviluppo, basti pensare alla Croazia.

         I paesi che si affacciano sull'Adriatico e che vi pescano negli ultimi anni sono aumentati per la dissoluzione della ex Iugoslavia e quindi diventa  più difficile accordarsi per una politica comune di salvaguardia delle risorse.

         Oggi sono interessati all'Adriatico, oltre all'Italia, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, il Montenegro, l'Albania e la Grecia. Mettere d'accordo tutti questi paesi che hanno esigenze e problemi molto diversi l'uno dall'altro non sarà facile, ma ciò non ostante è necessario se si vuole fare una vera azione che possa essere utile alla pesca.

         Tutti concordiamo sulla necessità di contenere lo sforzo di pesca ma anche per questo sarebbe necessaria una regolamentazione comune. Inutile contenere lo sforzo di pesca impedendo l'aumento delle potenze e delle stazze alla flotta italiana se poi i paesi dell'altra sponda aumentano e anche fortemente lo sforzo. Questo avrebbe come conseguenza un'inutile angheria ai danni dei nostri pescatori che caso mai vorrebbero solo un aumento di stazza per accrescere l'abitabilità e la qualità della vita a bordo mentre lo sforzo di pesca totale Adriatico aumenterebbe e con esso i problemi della pesca.

         Altrettanto dicasi per la regolamentazione relativa agli attrezzi da pesca.

         I regolamenti italiani (DPR 1639/68) pongono limiti all'uso degli attrezzi, alle zone e ai tempi di pesca, alle maglie consentite, alle stesse dimensioni degli attrezzi.

         Vi è infatti il divieto alla pesca al traino generalizzato entro le tre miglia e si sta parlando di estenderlo a zone con particolari concentrazioni di forme giovanili (chiusura di aree), le maglie delle reti devono avere dimensioni superiori a quelle indicate per ogni singolo attrezzo per permettere la fuga ai giovani, non è consentito calare ad esempio più di 5000 metri di rete da posta o di 7000 metri di palangaro.

         Se in altri paesi che si affacciano sullo stesso mare, questi limiti non ci sono, o sono attenuati o non sono applicati ciò finisce per danneggiare i nostri pescatori che sono costretti a rispettarli.

         Si comprende la difficoltà a mettere d'accordo tanti paesi con culture o legislazioni diverse, con problemi diversi ed in alcuni casi ben più gravi di quelli della pesca, ma è opportuno cercare di lavorare insieme per pervenire a regole comuni, chiare, applicabili ed applicate.

         Con alcuni paesi, almeno a livello scientifico, vi sono già dei tentativi di lavoro comune, per la verità molto promettenti, ne è un esempio la partecipazione a questa stessa rassegna di ricercatori ed amministratori dell'altra sponda adriatica.

         Non sarà una strada facile, ma è comunque una strada obbligata se si vuole dare un sicuro e tranquillo futuro alla pesca Adriatica.

Mario FERRETTI C.I.R.S.PE.


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