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Leonardo Damiani - Antonio Giuliani - Mediterraneo fra sviluppo e degrado

Nell'ultimo decennio si assiste sempre più al fiorire di iniziative tese ad incrementare i traffici marittimi: autostrade del mare, potenziamento della portualità, creazione di nuovi hub, costruzione di nuove e più grandi navi da crociera. Le mutate condizioni internazionali e la relativa sicurezza delle rotte mediterranee rispetto a quelle oceaniche, hanno creato condizioni tali da restituire al Mediterraneo quel ruolo strategico e baricentrico delle grandi rotte internazionali perso nel corso dei secoli passati, quando le grandi civiltà che hanno segnato la storia dell’umanità hanno ceduto il passo ad interessi economici e militari che hanno spostato le leve del mondo occidentale nei mari del nord e negli oceani.

L’incremento dei traffici nel Mediterraneo sembra ancora lontano dall'aver raggiunto un livello di saturazione e ciò giustifica i continui adeguamenti strutturali tesi a valorizzare un settore fondamentale nell'economia dei paesi mediterranei.

Anche la nautica da diporto, fiorente settore dell’economia italiana, pare attrarre un sempre crescente numero di utenti e gli studi di settore mostrano che l’elemento maggiormente limitante per il suo sviluppo è costituito da una notevole carenza di idonee strutture portuali, che impongono un sempre crescente impegno finanziario ed un interesse sempre maggiore da parte delle pubbliche Amministrazione e di imprenditori privati.

Ad arricchire il panorama delle attività che si nutrono del mare,  non si può trascurare la pesca, settore tradizionale e da sempre trainante della nostra economia. Si deve però sottolineare il pesante ridimensionamento del settore sia per la complessiva riduzione del pescato, sia per l’irreversibile crisi che investe i sistemi tradizionali.

Ad incrementare i traffici marittimi e ad impegnare le forze preposte a garantire la sicurezza della navigazione, contribuiscono, purtroppo non poco, i continui e crescenti flussi di immigrazione clandestina, spesso caratterizzata da condizioni di spostamento al limite dell’umana sopportabilità ed alimentata dalla grande povertà dei paesi di provenienza e da una delinquenza organizzata sempre più spregiudicata ed incurante dei più elementari valori della persona umana.

Il trend di sviluppo delle attività che ruotano intorno al mare è in definitiva molto incoraggiante ed è da supporre che possa ancora crescere, trainando l’intera economia del bacino mediterraneo. Se quindi è vero, come insegna la storia, che le società più evolute si sono sempre sviluppate sulla fascia costiera, dedicandosi ad attività lavorative tradizionali (commercio, pesca, ecc.) alle quali oggi si affiancano nuovi interessi economici legati all'industria, all'energia ed al turismo, si deve supporre che la pressione antropica sulle aree costiere andrà sempre più aumentando in futuro.

D’altra parte, gli studiosi dell’ecosistema marino hanno da tempo lanciato l’allarme sulle modifiche ambientali che hanno già prodotto un preoccupante depauperamento della fauna ittica e, in genere, un’alterazione ambientale sempre più difficilmente sostenibile.

Come conciliare le esigenze di sviluppo con il delicato equilibrio dell’ambiente marino?

Gli studi cominciano a fornire indicazioni probanti, ma è fondamentale che le analisi svolte si traducano in scelte comuni dei paesi mediterranei.

Le tematiche introdotte, infatti, non possono trovare risposte parziali; occorre invertire la “tendenza spezzatino” ovvero la spinta a decentrare sempre più le decisioni strategiche che, per forza di cose, travalicano gli interessi locali. Se il desiderio di autonomia degli Enti territoriali è ampiamente giustificata dal desiderio di affermare quel principio di sussidiarietà, fra l’altro sancito dalla Costituzione italiana, occorre anche riconoscere l’importanza di una regia comune, in grado di affermare il principio di solidarietà fra i popoli, non certo estraneo alle tematiche ambientali.

In definitiva, se si vuole difendere il Mediterraneo, occorre che i paesi del Mediterraneo si sforzino sempre più di ideare e realizzare programmi comuni nei diversi settori che condizionano la vita del nostro mare e che tali programmi si coordinino fra di loro. Sarebbe quindi auspicabile la creazione di un’autorità transnazionale che possa coordinare e garantire l’attuazione dei programmi internazionali, senza privare i diversi paesi della necessaria autonomia negli aspetti più particolari e forieri di interessi localistici.

 

 

Leonardo Damiani; Antonio Giuliani