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Francesco Saverio Abate - La politica comune della pesca ITA.pdf | Download Share on Facebook |
La politica comune della pesca (PCP) è lo strumento di cui si è dotata l'Unione europea per la gestione della pesca e dell’acquacoltura sin dal lontano 1983.
Nel 2002 si è avuta la prima sostanziale riforma della PCP, con il fine di assicurare uno sviluppo sostenibile delle attività di pesca dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Si proponeva inoltre di migliorare le basi sulle quali si fonda il processo decisionale, avvalendosi di pareri scientifici validi e trasparenti e di una maggiore partecipazione dei soggetti interessati.
Nel 2008 è stato avviato il secondo importante processo di revisione del “libro verde”, circostanza che ha reso indispensabile l’acquisizione di un quadro quanto più possibile esaustivo circa le realtà proprie di ciascuno Stato dell’Unione europea; dunque anche per la Amministrazione italiana e per la politica che la indirizza, l’occasione del dibattito che il libro verde apre è rilevante per esaminare al livello di analisi corretta un tema così importante.
Il primo dato di fatto che scaturisce dal dibattito di riforma è il parziale fallimento della politica comune della pesca, così come concepita. Nonostante, infatti, si sia ampiamente sottolineato il sovra-sfruttamento delle risorse, l’eccessiva capacità della flotta e la progressiva diminuzione delle catture praticate dalle flotte europee, si deve riconoscere che la PCP non è stata abbastanza efficace da risolvere tali problemi.
Dunque è tempo di riconcettualizzare, di rivedere in un quadro prospettico le opportunità residue per reinventare una politica capace di restituire sostenibilità alla pesca.
Si tratta anche di ricercare le ragioni per cui una serie di debolezze hanno ridotto l’effetto di politiche onerose per il bilancio europeo e comunque insufficienti per determinare condizioni di equilibrio, tra prelievi e stato delle risorse, tra offerta e domanda sui mercati, tra prodotti comunitari ed extracomunitari, tra misure ambientali e sociali, tra esigenze delle politiche centrali e politiche orientate alle realtà locali.
In quest’ottica, tuttavia, un approccio teso alla individuazione di regole comuni e condivise, non può trascurare il fatto che dove hanno operato intensivamente importanti flotte industriali il quadro si presenterà diversificato rispetto a dove ha operato una flotta composta da pescatori artigianali. Naturalmente la natura biologica delle risorse, la struttura e le funzioni degli ecosistemi in cui il prelievo si opera, unitamente ad aspetti tradizionali e culturali dei pescatori, hanno avuto un ruolo rilevante sullo stato attuale delle risorse. Riconoscere tale evidenza rappresenta un punto obbligato del percorso che ci avviamo a condividere nei prossimi mesi ed anni che ci vedranno impegnati nella rivisitazione della PCP. Bisogna pescare meno e meglio, attuando politiche che consentano una reale valorizzazione dei prodotti.
Anche le politiche per i controlli devono essere ulteriormente razionalizzate, evitando l’imposizione di regole difficilmente applicabili e che indurrebbero una pesca illegale diffusa con costi di contrasto elevati.
Naturalmente, una efficace riforma della PCP deve definire con chiarezza gli obiettivi strategici in materia di sostenibilità economica, ecologica ed ambientale.
Una sana politica comune, infatti, dovrebbe garantire un accesso equo tra gli operatori e solidale verso le future generazioni e le risorse biologiche coinvolte, che naturalmente non sono solo quelle di diretto interesse commerciale. Si tratta di temi complessi che riguardano la gestione di beni collettivi, con evidenti esempi di fallimenti. Per gli stessi motivi, questa Amministrazione, condividendo l’esigenza espressa dalla collettività internazionale, ritiene prioritaria la definizione di principi e regole tali da garantire un accesso regolato, sostenibile e responsabile alle risorse. Dunque è evidente che, anche per la natura condivisa di molte risorse, i sistemi di regolazione dell’accesso devono essere modulati in funzione della scala geografica su cui si opera.
Nel processo di revisione della PCP primaria importanza riveste l’individuazione degli obiettivi ecologici che, d’altra parte, non possono che essere gli stessi sanciti dagli articoli 31a e 32a della dichiarazione di Johannesburg:
- ‘mantenere o ristabilire la condizione degli stock a livello di massimo rendimento sostenibile con l’obiettivo di raggiungere questo target urgentemente e se possibile non oltre il 2015’;
- ‘mantenere la produttività e la biodiversità di importanti e vulnerabili ambiti marini e costieri, anche oltre le giurisdizioni nazionali’.
Analogamente, un secondo importante riferimento per la definizione degli obiettivi ecologici deve essere individuato nella Direttiva quadro sulla Strategia per l’Ambiente Marino (2008/56/CE) il cui obiettivo generale consiste in:
- mantenere la biodiversità e preservare la diversità e la vitalità di mari ed oceani in modo che siano puliti, sani e produttivi.
- garantire che le popolazioni ittiche siano entro limiti biologici di salvaguardia;
- mantenere la diversità biologica a livello di specie ed habitat marini;
- limitare i contaminanti nell’ambiente marino compatibilmente con livelli che non causino inquinamento.
Francesco Saverio Abate: Direttore Generale per la Pesca marittima e l'Acquacoltura – Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
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