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Ferruccio Maltagliati - La connettività genetica tra le popolazioni: un aspetto importante per la pianificazione delle aree marine protette

Il concetto di connettività è ampiamente usato in ecologia ed è definito come il grado in cui le popolazioni presenti in differenti zone della distribuzione della specie sono legate mediante lo scambio di gameti, larve, reclute, forme giovanili, o adulti. Questo concetto è quindi strettamente legato a quello di flusso genico, cioè il passaggio di geni, alleli, o aplotipi da una popolazione all'altra.  Ad ogni modo si può avere connettività senza flusso genico se gli individui migranti non si incrociano con quelli residenti. Di seguito verrà considerato soltanto il caso in cui alla connettività corrisponde anche flusso genico.

                Il grado di connettività gioca un ruolo molto importante nel determinare la struttura genetica delle specie e, in ultima analisi, dei livelli infraspecifici della biodiversità. In linea generale le specie dotate di elevato potenziale per la dispersione sono caratterizzate da una relativa omogeneità genetica, con struttura genetica in popolazioni poco pronunciata a causa dell’elevato grado di connettività e flusso genico. Comunque recenti studi molecolari hanno rilevato che esistono numerose eccezioni al vecchio paradigma che prevedeva omogeneità genetica per le specie ad elevato potenziale per la dispersione. La strutturazione genetica inaspettatamente alta rilevata in alcune specie ad ampia dispersione è stata spiegata sulla base di fattori diversi dalla dispersione stessa, quali differenze tra le pressioni selettive locali, o eventi storici.

                La finalità generale di tutte le aree marine protette (AMP) è quella di preservare la diversità biologica, anche se, in alcuni casi, esse possono essere progettate per aumentare il prodotto della pesca, o per proteggere fasi del ciclo vitale particolarmente vulnerabili di specie marine di interesse naturalistico o commerciale. Il funzionamento delle AMP richiede che gli organismi protetti all’interno della riserva abbiano un impatto anche all’esterno dei confini dell’AMP. La maggior parte delle AMP dovrebbe pertanto essere progettata in modo tale da svolgere un ruolo ecologico su un’area più ampia rispetto a quella compresa all’interno dei suoi confini. In questo contesto gli studi che prevedono l’impiego dei marcatori genetici possono fornire un importante contributo alla conoscenza dei livelli subspecifici della biodiversità ed in particolare sul grado di connettività tra gli individui all’interno dell’AMP e quelli che si trovano esternamente. Per esempio, mediante la conoscenza del grado e dei modelli di connettività presenti in un network di AMP, si può risalire al flusso di adulti e/o larve tra l’interno e l’esterno della riserva. Ne consegue che questo tipo di informazione assume grande rilevanza se la specie in esame è di interesse per la pesca. Infatti i benefici alla pesca forniti dagli effetti positivi delle AMP possono essere stimati in modo da assegnare loro un valore economico. I marcatori molecolari rappresentano strumenti efficaci per la stima dei livelli di connettività e possono quindi fornire un valido contributo sia per la progettazione delle AMP, che per i successivi piani di monitoraggio. Solo mediante l’integrazione dei dati molecolari sulle popolazioni con le altre informazioni necessarie (es. biologiche, oceanografiche, socio-economiche, ecc.) si potranno avere garanzie sul successo a lungo termine di un’ AMP.

                Le AMP dovrebbero essere progettate quindi in funzione di una o più delle finalità sopra menzionate, come, ad esempio, la conservazione di particolari componenti naturalistiche della biodiversità presenti nella riserva, la protezione di stadi del ciclo vitale particolarmente vulnerabili di specie di interesse commerciale, o come serbatoio di specie commerciali per le aree circostanti soggette a pesca. Inoltre è importante sottolineare che dovrebbero essere impostati appropriati programmi di monitoraggio finalizzati a verificare l’efficacia dell’AMP riguardo agli obiettivi per la quale è stata creata. Nel caso in cui gli scopi dell’AMP non fossero totalmente o parzialmente perseguiti, dovrebbero essere apportate appropriate misure correttive. Per esempio, la zonazione dell’AMP potrebbe essere ridisegnata, nel caso in cui il programma di monitoraggio verifichi che uno stadio del ciclo vitale di una specie bersaglio della pesca non è salvaguardato adeguatamente.

                La mia impressione personale è che la gran parte delle AMP italiane non siano state progettate su un programma predefinito basato su obiettivi ben specificati. Inoltre i programmi di monitoraggio, quando previsti, quasi mai sono finalizzati a valutare l’efficacia delle misure di protezione di un’AMP; piuttosto mirano a fornire una mera descrizione dello stato di salute ecologica della riserva. Desidero concludere con una provocazione: nelle ultime due decadi in Italia sono stati istituiti sempre più aree protette sia marine che terrestri, ma quante di queste si sono dimostrate efficaci in seguito a un monitoraggio basato su metodi scientifici?

 

 

Ferruccio Maltagliati - Dipartimento di Biologia - Università di Pisa