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Introduzione
Le oramai 23 aree marine protette italiane (se vi includiamo anche i due parchi sommersi di Baia e Gaiola, nonché il Santuario per i mammiferi marini) rappresentano una rete di tutela ambientale di eccezionale rilievo paesaggistico e ambientale, data la varietà degli habitat naturali e delle specie della flora e della fauna ivi presenti. Rispetto alle esperienze di altri Paesi, le aree marine protette italiane si caratterizzano soprattutto per un forte connotato di antropizzazione e interrelazione esistente tra esigenze di tutela ed esigenze di carattere economico, sociale e culturale, accentuato dalle caratteristiche proprie del bacino del Mediterraneo. Come è noto, le peculiarità proprie di tale mare hanno richiesto l'istituzione di un sistema regionale di protezione dell'ambiente del Mediterraneo, che ha portato, nel corso degli anni, alla creazione di una struttura complessa e abbastanza organica, operante su diversi livelli, a difesa di questo importante quanto fragile bacino.
- Il sistema regionale di protezione del Mediterraneo
Partendo dal presupposto che un mare semi-chiuso, qual'è il Mare Mediterraneo, costituisce un bene unitario e indivisibile, sottoposto a gravi rischi di inquinamento, si imponeva necessariamente, per gli Stati del Mediterraneo, una cooperazione per la gestione in comune del bacino, al fine di proteggere e preservare l'ambiente marino in sé considerato, e non solo in funzione degli interessi economici degli Stati.
L'esigenza di una sua specifica protezione, emersa già dai primi anni 70, ha necessitato l’adozione di uno specifico programma di cooperazione regionale, nel quadro del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) per la protezione ambientale del Mediterraneo: il Piano di Azione per il Mediterraneo (MAP), approvato nel contesto della conferenza intergovernativa tenutasi a Barcellona nel 1975, e che coinvolge quasi tutti gli Stati costieri mediterranei.
Nell'ambito del MAP, si colloca, quale componente giuridica, la Convenzione di Barcellona del 16 febbraio 1976 per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento, alla quale si collegano numerosi protocolli, convenzioni sub-regionali o locali.
Nella Convenzione di Barcellona, si trova un’importante disposizione di carattere generale in cui è contenuta una clausola di subordinazione della Convenzione stessa, e quindi dell'intero sistema regionale mediterraneo, ai risultati della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (leggi Convenzione di Montego Bay del 1982).
In questo modo, il sistema di protezione, strutturato a diversi livelli, risulta completo.
Innanzitutto, la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 si pone quale complesso giuridico di norme e principi a cui ci si dovrà riferire nell'interpretazione e applicazione di tutte le norme esistenti, nonché nella codificazione dei nuovi accordi.
In secondo luogo, la Convenzione di Barcellona costituisce l'accordo quadro per la protezione del Mediterraneo, con la previsione sia di una serie di disposizioni di per sé non prescrittive, che di una serie di pacta de contrahendo, in virtù dei quali le parti si impegnano a negoziare la stipulazione dei successivi accordi in materia di lotta contro i differenti tipi di inquinamento e per la protezione delle diverse zone del Mediterraneo. Seguono i Protocolli aggiuntivi, i quali assicurano l'applicazione concreta della Convenzione di Barcellona nei vari settori.
Ricordiamo il Protocollo sulla individuazione delle aree specialmente protette del Mediterraneo, firmato a Ginevra il 3 aprile 1982 e il nuovo Protocollo sulle aree specialmente protette e sulla diversità biologica nel Mediterraneo, aperto alla firma a Barcellona il 10 giugno 1995, che ha sostituito il precedente Protocollo di Ginevra del 1982. Con quest'ultimo protocollo, che si applica anche all'alto mare, è prevista la determinazione di una lista di aree specialmente protette d'interesse mediterraneo (ASPIM), con l'obbligo di tutte le parti contraenti di conformarsi alle misure di protezione valevoli per le aree iscritte nella lista. Infine, quale ultimo livello di applicazione dell'azione concertata, bilateralmente o multilateralmente, a difesa dell'ambiente marino del Mediterraneo, è prevista la facoltà che gli Stati Parte hanno di concludere degli accordi sub regionali, che hanno una sfera di applicazione geograficamente limitata e parziale.
Tra questi, annoveriamo l’Accordo Internazionale tra Italia, Francia e Principato di Monaco, fatto a Roma il 25 novembre 1999, con cui è stata prevista la creazione nel Mediterraneo del santuario per i mammiferi marini, di recente iscritto nella sopraccitata lista ASPIM.
Per completare il quadro normativo sulla protezione del Mediterraneo bisogna, da ultimo, ricordare quelle regole che si collocano a livello sub-regionale, che sono state adottate dalla Comunità Europea, nell'ambito della sua competenza in materia ambientale.
Considerato che la competenza della Comunità Europea in materia di protezione ambientale è andata continuamente ampliandosi, la Comunità è stata ammessa come parte contraente in tutti gli strumenti internazionali per la protezione del Mediterraneo, estendendo pertanto anche agli Stati membri non costieri del Mediterraneo gli stessi obblighi incombenti sugli Stati membri costieri del bacino. In questo modo, si vengono ad aggiungere le competenze della Comunità Europea a quelle concorrenti degli Stati membri.
In questo quadro, è importante ricordare la Direttiva 92/43 CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, di grande interesse e rilevanza per la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, conformemente, tra l'altro, ai dettati della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982.
Sappiamo, infatti, che la Convenzione sul diritto del mare del 1982 prevede, tra le misure dirette a prevenire, ridurre o controllare l'inquinamento dell'ambiente marino, l'istituzione di zone specialmente protette[1].
Pertanto e complessivamente considerata, la politica ambientale della Comunità Europea nella particolare area del Mediterraneo può definirsi oggi come una "politica globale di largo respiro".
Si può pertanto affermare che il sistema regionale di protezione del Mediterraneo, così istituito, ha apportato notevoli contributi alla situazione di questo bacino, per lo meno sul piano dell'adozione di una politica comune in materia di protezione dell'ambiente marino, anche se, a tutt'oggi, un sistema di protezione globale è ancora lontano dall'essere realizzato.
- Il sistema delle aree protette e dei parchi marini
Nel sistema delle aree protette e dei parchi marini, rileva sopratutto la tecnica della loro istituzione.
Molti problemi, sia di ordine pratico che di ordine giuridico, sorgono al momento della loro realizzazione e amministrazione, sopratutto se si trovano in zone di frontiera.
La concezione stessa di parco, e la sua realizzazione ed istituzione, hanno subito un profondo cambiamento, rispetto alle prime realizzazioni di parchi ,avvenute negli Stati Uniti nella seconda metà dell'Ottocento, quando vennero istituiti i primi parchi naturali, quali quello dello Yosemite (1860) e di Yellowstone (1870). In questi casi, i criteri a cui si uniformavano erano quelli del "valore scenico e panoramico" di un territorio e quello del "fine turistico-ricreativo", che implica la massima apertura di un parco alla fruizione da parte della popolazione.
Quindi, in sintesi, queste prime iniziative di conservazione erano pur sempre finalizzate ai bisogni utilitaristici dell'uomo.
In Europa, è all'inizio di questo secolo che si hanno le prime importanti realizzazioni di conservazione ad opera di associazioni scientifiche. Troviamo il primo parco naturale in Svizzera, il Parco dell'Engadine, istituito nel 1914 con finalità di salvaguardia scientifica. Anche in Italia, il primo parco, creato nel 1922, il Parco del Gran Paradiso, venne istituito con prevalenti fini scientifici. Accanto alle finalità scientifiche si sono, poi, sviluppate motivazioni estetiche.
In questo panorama, non esisteva, e non esiste tuttora, una definizione di parco da tutti accettata. Neanche la creazione, nel 1948, dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che doveva avere il preciso scopo di costituire un organismo sovranazionale di costante riferimento per tutti in materia di protezione ambientale, poté impedire ai singoli Stati di poter operare con criteri del tutto autonomi. Tra questi, il c.d. "sistema francese", introdotto in Francia con legge 20 luglio 1960 per la creazione di parchi nazionali. Tale sistema stabilisce una suddivisione dell'area da proteggere in zone o fasce in base al principio della "zonazione funzionale". Innanzitutto, si individua un'area centrale di grande valore naturalistico, nella quale si istituisce una "riserva integrale" dove la conservazione assume un esclusivo valore scientifico. Intorno ad essa, si delimita un'altra zona di "riserva generale" con fini turistico-ricreativi, più accessibili alla popolazione. Infine, si individua un'area esterna, chiamata "pre-parco", caratterizzata da territori in cui è presente la popolazione nei centri abitati, e dove si hanno zone con attività turistiche più estese.
All'idea di protezione delle "bellezze naturali" si sostituisce quella di salvaguardia dei "valori ecologici", con l'affermazione di un rigido criterio naturalistico.
Anche il concetto di "sviluppo sostenibile" viene fatto proprio dagli ecologi, i quali sostengono che è esattamente nella istituzione dei parchi e delle aree protette che esso può trovare la propria specificazione. In altri termini, è proprio nelle suddette aree che si realizzerebbe la compatibilità tra la conservazione dei valori ecologici e le esigenze dello sviluppo economico e sociale. Nella nuova filosofia di conservazione, pertanto, la creazione dei parchi e delle zone protette non si identifica più soltanto con la difesa delle specie animali e vegetali , ma con un piano globale di difesa e gestione di tutte le risorse naturali e degli habitat compresi nell'area, che concilii in modo equilibrato tutela e fruizione/utilizzo. E' proprio con il coinvolgimento della popolazione che si può sviluppare un consenso più diffuso, quale vera garanzia di attuazione di una seria politica di tutela ambientale del territorio. La stessa istituzione di un’area protetta risulta necessariamente legata alla volontà e alla coscienza ambientale della popolazione.
Si diceva che l'istituzione di queste aree specialmente protette comporta molteplici problemi, specie se si riferiscono ad aree marine. Il regime dei vari spazi marini, infatti, non è unitario.
Le problematiche si snodano da un livello sopranazionale, con la considerazione dei diversi diritti ed obblighi che spettano ed incombono sugli Stati nelle rispettive aree marine; fino ad arrivare ai problemi di ordine strettamente naturalistico, in quanto i diversi habitat ed ecosistemi non rispecchiano i confini artificiali posti dall'uomo.
In conclusione, si può comunque affermare che nel Mediterraneo si è avuto un progressivo e costante aumento di aree protette marine variamente denominate (parchi marini, riserve marine, riserve naturali, aree di protezione biologica, ecc.), assoggettate, peraltro, a regimi particolari e molto differenziati tra loro.
- Legislazione interna in tema di aree protette
Per quanto riguarda il nostro ordinamento interno, i dettati della Convenzione sul diritto del mare del 1982, relativi al riconoscimento degli interessi collettivi alla preservazione dell'ambiente marino vengono recepiti a pieno sia dalla legge 31 dicembre 1982, n. 979 sulla difesa del mare, che detta, tra l'altro, disposizioni in ordine all'istituzione di riserve marine, sia dalla legge 28 febbraio 1992, n. 220 sugli interventi per la difesa del mare. Con legge 8 luglio 1986, n. 349 si ha l'istituzione del Ministero dell'ambiente, al quale, a norma dell'art. 5, vengono trasferite le competenze, fino ad allora esercitate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste, in materia di parchi nazionali e di individuazione delle zone di importanza naturalistica nazionale ed internazionale, promuovendo in esse la costituzione di parchi e riserve naturali.
Per quanto riguarda le aree marine protette (ovvero le “riserve marine”, secondo la dicitura della l. n. 979/1982), queste, prima della soppressione del dicastero della Marina mercantile, dovevano essere istituite con decreto del Ministero dell'ambiente di concerto con quello della Marina mercantile. La legge finanziaria del 1994 ha infine trasferito le competenze della difesa del mare al Ministero dell'ambiente.
In tale contesto si è inserita la legge quadro sulle aree protette del 6 dicembre 1991, n.394, che ha come finalità quella di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale.
E’ importante sottolineare che , al fine dell'istituzione di un'area marina protetta, la zona interessata deve essere precedentemente individuata per legge quale "area marina di reperimento". Ad oggi, sono state individuate cinquanta aree marine di reperimento, rispettivamente dall’ art. 31 della legge n. 979/1982[2]; dall’ art. 36 della Legge n. 394/1991[3]; dall’art. 4 della Legge n. 344/1997[4]; dall’art. 2 della Legge n. 426/1998[5] e dall’art. 8 della Legge n. 93/2001[6].
Secondo quanto previsto dalla Legge n. 979/1982 e n. 394/1991, sono stati emanati i decreti con i quali, nei limiti delle acque interne, sono state istituite delle aree marine protette nelle quali vengono vietate una serie di attività, tra cui la pesca, al fine di proteggere l'ambiente marino, di tutelare e valorizzare le risorse biologiche e il ripopolamento ittico, di effettuare ricerche scientifiche e di promuovere uno sviluppo socio-economico compatibile con la tutela ambientale. Essi risultano essere pienamente conformi al dettato degli articoli 116 e 119 della Convenzione di Montego Bay del 1982.
In questo settore, comunque, l'adeguamento della legislazione italiana ai dettati dell’ordinamento internazionale nonché alle direttive della Comunità Europea è sempre più rilevante, vista la sempre maggiore importanza che le norme di diritto internazionale e di diritto comunitario derivato ormai rivestono in materia ambientale.
Daniela Addis
Consulente ambientale
[1]Cfr. l'art. 194, par. 5, secondo il quale "the measures taken in accordance with this Part [= Part XII: Protection and Presevation of the Marine Environment] shall include those necessary to protect and preserve rare or fragile ecosystems as well as the habitat of depleted, threatened or endagered species and others forms of marine life".
[2] Cfr.Legge 31 dicembre 1982, n. 979 “Disposizioni per la difesa del mare” in G.U. n. 16 – Suppl. Ord. - del 18 gennaio 1983.
[3] Cfr. Legge 6 dicembre 1991, n. 394 “Legge Quadro sulle Aree Protette” in G.U. n. 292 – Suppl. Ord. - del 13 dicembre 1991.
[4]Cfr. Legge 8 ottobre 1997, n. 344 “Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli interventi e dell'occupazione in campo ambientale” in G.U. n. 239 del 13 ottobre 1997.
[5] Cfr. Legge 9 dicenbre 1998, n. 426 “Nuovi interventi in campo ambientale” in G.U. n. 291 del 14 dicembre 1998.
[6] Cfr. Legge 23 marzo 2001, n. 93 “Disposizioni in campo ambientale” in G.U. n. 79 del 4 aprile 2001.
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