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Antonio Mazzola - Maricoltura sostenibile in un contesto di pianificazione dello spazio marittimo

Con il termine maricoltura si suole indicare l'applicazione di alcuni principi della zootecnia tradizionale agli allevamenti di animali ed alghe, in ambienti acquatici. La maricoltura, che in un primo tempo si riferiva a quelle forme di allevamento che interessavano tutte le specie marine e salmastre, allevate negli impianti a terra o in mare, in intensivo o in semintensivo, nel lessico recente ha assunto un nuovo significato perché si rivolge esclusivamente alle pratiche colturali che si sviluppano in mare, sia off-shore che in-shore. Lo sviluppo della maricoltura ha evidenziato, nel processo di maturazione settoriale, una serie di problematiche nuove per lo più generate dall’esigenza di identificare modelli di sviluppo sostenibile delle produzioni. Ciò investe simultaneamente due scenari generalmente separati: da un lato lo sviluppo economico attraverso le attività delle imprese, dall’altro la tutela delle risorse ambientali. L’importanza della maricoltura nel quadro della Politica Comune della Pesca (PCP) è una realtà di fatto, in quanto contribuisce sempre più all’approvvigionamento del mercato consentendo nel contempo di risparmiare le risorse selvatiche che si trovano in una fase di marcato sfruttamento. Inoltre, contribuisce al mantenimento di un buon numero di posti di lavoro in zone caratterizzate da una forte contrazione dell’attività di pesca. Tuttavia, in zone costiere sempre più sature, le possibilità di estensione delle attività acquicole non sono infinite; possono quindi nascere conflitti fra gli acquacoltori e gli operatori del turismo, della pesca, della cantieristica, del diporto, etc.

La maricoltura, inoltre, ha implicazioni ambientali molto rilevanti. Essa, infatti, opera su due componenti fondamentali ed altamente sensibili degli ecosistemi acquatici quali l’acqua stessa e le popolazioni ittiche. La prima subisce un’inevitabile alterazione della sua qualità in presenza di attività di allevamento, mentre gli organismi sono esposti, a manipolazioni che interferiscono direttamente ed indirettamente sulla loro qualità.

L’errore più grande che si sia potuto attuare nel recente passato è stato quello di considerare la maricoltura un settore produttivo completamente scollato dal contesto socio economico in cui si andava ad inserire, separato cioè da tutte quelle altre realtà sociali della fascia costiera, prima fra tutte la pesca. Infatti raramente si è assistito alla integrazione funzionale delle pratiche colturali con le altre attività legate al mare e soprattutto con quelle più tradizionali della pesca costiera.

 

 

Il concetto di gestione della fascia costiera presuppone, almeno nelle sue grandi linee, una valutazione d'insieme delle molteplici attività ed interessi, che possono svolgersi nella zona di interscambio tra l'ambiente terrestre e l'ambiente marino. In queste aree è necessaria una attenta pianificazione che tenga conto delle interazioni tra le componenti socioeconomiche ed ambientali, in modo da ridurre i conflitti d’uso e minimizzare i rischi di degrado dell’ambiente. L'elaborazione di una scala di priorità fra utilizzazioni potenzialmente concorrenti, diviene pertanto un imprescindibile strumento di politica economica e di programmazione.

L’uso dello spazio marittimo è sempre più soggetto a limitazioni a causa delle attività che già insistono su di esso e delle esigenze di conservazione della biodiversità e della funzionalità degli ecosistemi man mano che la superficie inutilizzata e libera da vincoli si restringe. E’ dunque necessario il ricorso a strumenti di pianificazione avanzati, come quelli basati su GIS e su tecniche di Machine Learning, che possano raccogliere e sfruttare al meglio l’informazione disponibile. Ciò è vero in generale per la pianificazione spaziale marittima, ma per le attività di maricoltura lo è a maggior ragione, perché esse insistono sul comparto neritico, dove lo spazio marittimo si interfaccia con la fascia costiera, la cui gestione integrata richiede un’allocazione ottimale anche delle attività prettamente marine.

Lo sviluppo della maricoltura, dopo una fase di aspettative positive sta evidenziando i suoi limiti, sia di mercato che ambientali. Nessuno mette in dubbio il ruolo strategico delle produzioni da allevamento di organismi acquatici, ma la necessità di promuovere modelli di maricoltura responsabile, nelle logiche dello sviluppo sostenibile, risultano prioritarie per restituire competitività, sia attraverso una migliore immagine, sia grazie a politiche di certificazione ed integrazione del comparto nelle politiche territoriali finalizzate alla gestione della fascia costiera ed ai contesti rurali. Inoltre il processo di integrazione della maricoltura con il mondo della pesca fa acquisire al settore sempre maggiore competitività perché, nell’ambito della gestione della fascia costiera, diventa sempre più un comparto unitario con processi di sviluppo comuni e con possibilità di interscambio. Le attività di molluschicoltura, in particolare mitili e vongole, la realizzazione di impianti di allevamento ittico in gabbie galleggianti, gli investimenti diretti allo sfruttamento degli ambienti salmastri, la scelta di specie che si collocano a bassi livelli trofici, il multitrofismo e la circolarità dei processi produttivi, rappresentano esempi di un modello di sviluppo che sempre più va affermandosi. In alcuni casi si tratta di vere e proprie iniziative di riconversione, in molte altre gli investimenti hanno finalità di integrazione reddituale rispetto alla pesca, in altre ancora si tratta di investimenti privati i cui riflessi, tuttavia, investono in modo articolato il mondo della pesca.

Si fa sempre più evidente come la sostenibilità dell’utilizzazione delle risorse biologiche vada attuata attraverso la regolazione integrata delle attività di pesca e di maricoltura, con interventi che possano conciliare l’esigenza della conservazione naturale e della salvaguardia degli interi ecosistemi con quella della difesa delle attività economiche e dell’occupazione. Operatori della pesca e della maricoltura possono rappresentare un presidio ambientale generalizzato, realmente appropriato per valorizzare la biodiversità, anche in usi che non consumano le risorse, generando dalle stesse una serie di servizi.

Diventa però di vitale importanza il varo di un piano organico a livello nazionale e regionale per fornire regole certe e tempi di riferimento garantiti agli imprenditori che vogliano sviluppare attività di acquicoltura e alle Amministrazioni preposte al controllo.

 

Antonio Mazzola

 

Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) – Università di Palermo, via Archirafi 18 -90123 Palermo