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Antonio Canu - Contributo

Il mare è un po’ il nostro futuro. Per un verso fin troppo trascurato, visto che rappresenta il 71% del Pianeta e svolge un ruolo essenziale per il mantenimento della vita sulla Terra. E per un altro, fin troppo sfruttato, degradato e maltrattato, visto che varie emergenze ambientali, tra cui la pesca e l’inquinamento, sono localizzate nella sfera d’acqua che ci circonda. A differenza di quanto si possa immaginare, i mari sostengono una biodiversità di pari importanza, se  non superiore, a quella terrestre. Alcuni autori ritengono che nei fondali marini si trovi un numero di specie (soprattutto molluschi, crostacei e policheti) del tutto paragonabile a quello degli ambienti terrestri, vale a dire non inferiore a 10 milioni di unità. Le quali  rappresentano risorse fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza. 

Eppure, nonostante i mari occupino gran parte del Pianeta e assicurino importanti funzioni a livello generale,  meno dello 0,5% dell’ambiente marino è all'interno di aree protette, in confronto a circa l’11% della parte terrestre. Sono infatti circa 100.000 le aree protette nel mondo e solo poco più di 4000 sono marine.  La superficie tutelata complessiva è poco più di 1,6 milioni di kmq e una buona fetta di questa superficie appartiene alla grande Barriera Corallina australiana. Non solo, gran parte delle aree marine istituite a livello mondiale sono protette soltanto nominalmente e non sono realmente gestite.

Proprio le aree protette marine e costiere rappresentano invece un essenziale strumento di gestione per proteggere la biodiversità marina e sostenere le comunità umane che dipendono dalle risorse marine. In un sempre più drammatico declino delle risorse ittiche che sta interessando le principali aree di pesca del mondo, proprio le AMP rappresentano importanti serbatoi per la riproduzione delle specie d’interesse commerciale. E’ infatti dimostrato che in presenza di aree marine protette, le acque circostanti sono più ricche di pesce, gli esemplari sono di taglia più grande, c’è un ritorno in termini di pescato nettamente superiore. Un recente studio proprio del WWF  e della Royal Society for Protection Birds ha stimato che l’istituzione e la gestione di une rete di aree marine protette pari al 30% della superficie totale degli oceani del pianeta, costerebbe circa 12-14 miliardi di dollari l’anno. Cioè meno dei 15-30 miliardi di dollari che vengono spesi annualmente per i sussidi da danno ambientale ed economico che vengono devoluti ai pescatori professionali.

Sono 24 le aree marine protette istituite in Italia, per circa 200.000 ettari, a cui si aggiunge il Santuario dei Cetacei del mar Ligure con una superficie di circa 2 milioni e mezzo di ettari.  Vanno poi compresi sei parchi nazionali costieri, oltre ad altre forme di tutela come le oasi blu, cioè aree prese in concessione dal demanio per fini di tutela. In generale si tratta sicuramente di una rete importante e di grande valore sia  a livello locale che nel contesto più generale: un successo in termini di quantità e di diffusione delle aree. C’è però ancora molto da fare nella qualità di gestione e nell’obiettivo di creare un sistema coordinato. Anche perché le leggi italiane prevedono l’istituzione di altre 20 aree fino ad arrivare ad un totale di 45: un obiettivo ambizioso anche in termini di investimenti e capacità gestionali. Ecco perché una delle priorità è quella di adottare una serie di strumenti operativi che assicurino una gestione efficiente ed efficace. In questo campo il WWF è promotore di un modello di verifica che è stato già sperimentato nella Riserva Marina di Miramare, gestita dall'associazione, e che è stato proposto anche a livello di rete.

In quanto alle scadenze internazionali, l’obiettivo è quello di sostenere la scadenza della CBD, e cioè la creazione di un Sistema di Aree Protette Marine entro il 2012, e quello di raggiungere una percentuale protetta degli oceani del 10%, entro il 2020.  Quella che viene sollecitata con sempre più forza è l’istituzione di aree marine vaste che superino i confini territoriali: gli high seas.

Inoltre, visto che la maggior parte delle aree protette istituite  è gestita in modo inadeguato, con quasi la maggior parte della superficie protetta aperta al turismo e all’attività ricreativa e per il 90 % alla pesca, è sempre più urgente affidarsi a strumenti di valutazione dell’efficacia di gestione, così come già proposto dal  WWF insieme all’IUCN e al NOAA.

Per dare risposte a queste sollecitazioni, come WWF stiamo lavorando alla proposta di  due nuove aree marine da proteggere: il Santuario della Biodiversità Marina (Isole Pelagie, Malta, Tunisia, Libia) e il parco marino di Santa Maria di Leuca, già in parte realizzato. Il primo risponde agli obiettivi della CBD per la promozione di high seas a livello mondiale e il secondo è un contributo alla tutela dei deep seas presenti nel Mediterraneo, individuati da un apposito studio del WWF e dell’IUCN del Mediterraneo.

La sfida più grande è sicuramente quella  di creare nel Canale di Sicilia, il Santuario per la Biodiversità marina. Nelle acque che bagnano le isole Pelagie, le coste maltesi, tunisine e libiche, sono state infatti riscontrate presenze naturali straordinarie: a cominciare dalla balenottera comune, che frequenta l’area durante l’inverno, allo squalo bianco che qui si riproduce, alle tartarughe marine, alla straordinaria ricchezza di vita a tutti i livelli. Un’area protetta di questo genere e grandezza, la prima nel Mediterraneo, comporterebbe benefici non solo al patrimonio ambientale, ma anche a chi opera nell’area. Infatti, non ci sarebbero particolari restrizioni alle attività di pesca – e comunque ci sono i presupposti per trovare soluzioni sostenibili – e si potrebbe attivare un turismo naturalistico, ovviamente compatibile con la tutela.

Verrebbe regolamentato il traffico navale, in particolare quello turistico, e si attiverebbe un presidio contro eventuali minacce d’inquinamento o attività illegali.

C’è poi da rilanciare il Santuario dei Cetacei, ora che è stato approvato anche il piano di gestione. Occorrono progetti, azioni, programmi che lo rendano vivo e urge un livello organizzativo almeno sufficiente a garantire la gestione ordinaria.

Quelle delle aree protette è la vera sfida per i nostri mari. L’importante è non perdere tempo e investire risorse adeguate. Perché non basta un decreto o una legge a salvare il mare.

Antonio Canu WWF