File | Azione |
---|---|
Carlo Da Pozzo - Turismo paesaggi e monumenti ITA.pdf | Download Share on Facebook |
Se ci fosse ancora bisogno di dimostrare che il turismo è un pilastro dell’assetto economico italiano, basterebbe dare un’occhiata agli ultimi dati disponibili: nell'andamento dei flussi internazionali del 2009 l’Italia è stato l’unico dei grandi paesi “turistici” del mondo a conoscere un incremento di arrivi rispetto al 2008 e i dati di Bankitalia sulla bilancia dei pagamenti del 2010 mostrano che la leggera flessione annuale del saldo netto positivo (8,788 miliardi di € contro gli 8,841 del 2009) è dovuta essenzialmente all'aumento delle spese degli italiani in vacanza all'estero (20,382 miliardi di €, +1,8% rispetto al 2009), a fronte di un più contenuto incremento (+1,1%) delle spese degli stranieri in Italia, comunque sempre di tutto rispetto: 29,170 miliardi di €. In questi termini, il dato complessivo diventa anche più positivo perché sottolinea una crisi italiana minore di quella degli altri paesi più sviluppati; in effetti, a fronte di un calo di spese dei nostri tradizionali visitatori europei (in particolare tedeschi, britannici e francesi) si segnala l’incremento degli extraeuropei, soprattutto asiatici, con i giapponesi di gran lunga in testa.
Altrettanto note, monitorate e studiate sono le caratteristiche principali del turismo in Italia, dalle sue diversità regionali alla sua concentrazione spaziale e temporale: basterà qui solamente ricordare come, sempre nel 2009, dei quasi 98 milioni e 700 mila viaggi di “vacanza” (86,5% del totale dei viaggi) l’83% sia stato fatto da italiani e il restante 17% da stranieri mentre per gli oltre 15 milioni e 400 mila viaggi di “lavoro” (13,5% del totale) la prevalenza italiana scende al 78%; ma, considerando le notti (680.215.000), la prevalenza della “vacanza” si fa ancora più netta, quasi il 92%, mentre l’incidenza in essa degli italiani scende all’80% e crolla addirittura al 58% nei pernottamenti per “lavoro”.
Nella scelta delle sistemazioni, non compaiono particolari differenze fra italiani e stranieri: entrambi preferiscono gli esercizi alberghieri, rispetto a quelli complementari, in maniera netta (80%) per gli arrivi e in misura sensibilmente minore (66%) per le presenze; ma è interessante rilevare che se gli italiani nel complesso incidono su arrivi e presenze per il 57% del totale, per le sistemazioni nelle categorie superiori (5 stelle e lusso) gli stranieri rappresentano oltre il 60%, mentre nella categoria 4 stelle, negli alloggi in affitto e negli agriturismi l’incidenza si può considerare sostanzialmente pari.
Dal punto di vista temporale spicca la concentrazione italiana nel quadrimestre giugno-settembre, tanto negli arrivi, oltre il 47%, che, soprattutto, nelle presenze, quasi il 64%, con punte record nell'agosto (16% di arrivi e 25% di presenze) ed esasperazione della concentrazione negli esercizi complementari (63% nel quadrimestre e 25% nell'agosto per gli arrivi e ben 76% nel quadrimestre e 33% nell'agosto per le presenze!); la concentrazione degli stranieri nel quadrimestre è più marcata negli arrivi (51 %) e meno nelle presenze (59%), ma, soprattutto, le punte appaiono meno acute e luglio prevale leggermente su agosto (rispettivamente 15 e 14% negli arrivi e 18 e 17% nelle presenze); si accentua, invece, la concentrazione degli esercizi complementari che arrivano nel quadrimestre al 70% degli arrivi e al 77% delle presenze (in luglio e agosto: 23 e 22% di arrivi e 26 e 25% di presenze).
Da un punto di vista spaziale, la metà dei viaggi di vacanza si concentra in 6 regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto) mentre per quelli di lavoro bastano le prime quattro per concentrare il 53% (Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana).
Gli italiani sono arrivati alla pari nelle località marine e nelle città di interesse storico e artistico (27% ciascuna), che insieme alle località montane (12%) hanno concentrato i 2/3 degli arrivi, ma la concentrazione nelle tre sale per le presenze al 70%, con le località marine che arrivano da sole a più del 37% (le montane superano il 14% e le città storico-artistiche calano al 18%); gli stranieri, invece, hanno preferito decisamente le città di interesse storico e artistico (oltre il 45% di arrivi e il 33% di presenze), seguite dalle località marine (17% di arrivi e 24% di presenze) e da quelle lacuali (poco più del 9% di arrivi e del 12% di presenze). Vale la pena, infine, di sottolineare che le concentrazioni aumentano ulteriormente negli esercizi complementari e che il turismo verso le città di interesse storico e artistico si appoggia decisamente sugli esercizi alberghieri, con la punta degli stranieri che tocca il 48% degli arrivi e il 38% delle presenze.
Il quadro statistico italiano pare così la conferma più classica delle motivazioni alla base del turismo, riconducibili a fenomeni e luoghi di particolare attrattività per peculiarità sia morfologico-climatiche che antropico-culturali, ovvero per paesaggi, monumenti e attrezzature.
Da ciò derivano due conseguenze fondamentali e interrelate, la prima di ordine esistenziale e la seconda di ordine gestionale: la prima vuole che l’attività turistica non distrugga la sua sorgente stressandola per sovraccarico, di utenti, di infrastrutture e di edificato; la seconda mira a governare i territori per mantenerne e migliorarne l’attrattività. In questo senso, da tempo Mareamico ha sottolineato nei suoi convegni l’esigenza di un turismo sostenibile, affrontando anche diversi aspetti delle normative in questa direzione prodotte ai vari livelli, europeo e nazionale.
Vorrei aggiungere una brevissima riflessione sul fatto che, nei termini del “governo” appena ricordati, il turismo chiama prepotentemente in causa, prima ancora dei ministeri economici e del lavoro, quelli dell’ambiente e dei beni culturali, come responsabili primi della sua sorgente, cioè delle peculiarità locali sintetizzabili in paesaggi, monumenti e attrezzature.
Ne consegue che mentre il concetto di “sostenibilità” facendo parte, per così dire, del DNA del Ministero dell’Ambiente, è ben presente nelle sue azioni, non altrettanto forse si può dire per le azioni del Ministero dei Beni Culturali, sicuramente più preoccupato e attento alla tutela e alla conservazione; basta sfogliare le leggi e le circolari per accorgersi che i richiami allo “sviluppo sostenibile” sembrano più una sorta di atto dovuto, che non una linea guida vera e propria e che spesso la sostenibilità è vista essenzialmente da un punto di vista finanziario, dell’autoreperimento, cioè, delle risorse necessarie alla conservazione del bene.
Oltre alle “grandi opere”, poi, servirebbe un’attenzione maggiore, soprattutto nelle città, ai lavori di manutenzione ordinaria del decoro e della civiltà urbane: la trascuratezza, frutto spesso di mera disattenzione (per restare sul banale si pensi a quanta cartellonistica stradale inutile o sovrabbondante guasta paesaggi o profili monumentali), sono perniciose quanto il sovraccarico ai fini dell’attrattività turistica.
Abbiamo visto che gli stranieri vengono in Italia soprattutto per la sua combinazione unica tra paesaggi e monumenti, nelle città più ancora che al mare: cerchiamo di non deluderli, anche perché il panorama internazionale positivo del 2009 e del 2010 sembra oggi conoscere le ombre congiunturali delle crisi del Mediterraneo meridionale e del Giappone e strutturali della crescente concorrenza dei paesi in via di sviluppo, rispetto alla quale la nostra forza resta nell’offerta di qualità e, soprattutto, di arte, di cultura e di paesaggi ricchi delle manifestazioni di entrambe.
Carlo Da Pozzo – Università di Pisa
Commenti recenti