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Corrado Piccinetti - Lo stato della pesca italiana

Le relazioni tra gli organismi che vivono in mare sono molto numerose e complesse. Le attività dell’uomo influenzano l’eco sistema con effetti non sempre facili da evidenziare.

Se consideriamo le attività di pesca, che prelevano direttamente diverse specie per un utilizzo alimentare, esse sono rivolte alla cattura di circa 100 specie ma le specie animali che vivono nei mari italiani sono oltre 15.000 e i meccanismi ecologici che regolano la presenza e la  quantità di ogni specie agiscono nei confronti di tutte le specie in modo indipendente dall’attività di pesca.

La quantità di ogni specie presenti in mare dipende dal prelievo fatto dall’uomo in minima parte e anche la consistenza delle specie non oggetto di pesca varia nel tempo e nello spazio, in relazione alle caratteristiche di ogni specie. Il divieto di ogni forma di pesca porterebbe a diversi equilibri ove alcune specie occuperebbero spazi ecologici più ampi ed altre specie ridurrebbero la loro presenza.

Purtroppo questi concetti, basilari per l’ecologia, già elaborati  da D’Ancona e Volterra, non vengono considerati con la dovuta attenzione da coloro che devono gestire le attività di pesca.

La situazione della pesca italiana mostra le conseguenze. Ignorando le diversità ecologiche esistenti vengono applicati i modelli matematici per gestire il prelievo della pesca con il miraggio di raggiungere il massimo rendimento sostenibile MSY, che nella realtà non è un valore fisso ma si modifica negli anni.

Secondo i dati ufficiali italiani, pubblicati dalla direzione generale pesca del Mipaaft, la pesca italiana ha avuto dal 1920 una produzione crescente negli anni che ha trovato una sua stabilizzazione tra 400.00 e 450.000 t. di pescato anno, dal 1970 fino al 2000 circa. Successivamente è iniziato un continuo declino della produzione fino al 2014 e 2015, quando la produzione è stata di 180.000 t.  La forte riduzione di quantità pescate ha comportato una perdita di valore del pescato italiano di oltre 1 miliardo di euro all’anno, calcolato sulla base del valore medio al kg per le oltre 220.000 t annue pescate in meno rispetto ai trent’anni precedenti, con quantità pescate sopra alle 400.000 t. Il processo di riduzione delle attività di pesca in Italia è stato voluto ritenendo che la pesca di 400.000 t. all’anno non fosse sostenibile. La politica europea ha continuato a ridurre il settore facilitando l’esodo dal settore, riducendo le possibilità di pesca con misure tecniche e riducendo il tempo di pesca spesso senza considerare gli impatti sociali ed economici delle misure adottate. La riduzione della pesca italiana è ancora in atto. La regolamentazione della pesca con l’introduzione di quote per il pesce spada e per i piccoli Pelagici dell’Adriatico e una regolamentazione restrittiva nel canale di Sicilia, porta ad un ulteriore riduzione dell’intero settore per i prossimi anni. Non è stato posto un limite alla diminuzione della produzione della pesca italiana, ma ancora oggi molti chiedono la chiusura alla pesca di altre aree marine o l’eliminazione di forme di pesca ritenendo che esista una pesca incontrollata. I dati sullo stato delle risorse biologiche in mare sono contrastanti, le campagne con metodi di valutazione diretta, echosurvey e survey con reti e/o draghe mostrano risorse con biomasse a diversa tendenza, tra le singole specie pescate, alcune specie ittiche mostra una riduzione di biomassa altri un aumento e la maggior parte delle specie pescate presenta oscillazioni, alcuni anni in diminuzione e altri anni in aumento. I modelli analitici per le singole specie utilizzano come indicatore prevalente della biomassa le quantità pescate e, di conseguenza, mostrano una biomassa in diminuzione e raccomandano un ulteriore riduzione dei quantitativi pescati. I modelli globali di cattura e sforzo mostrano che le quantità pescate sono ampiamente sostenibile, come lo erano in passato le quantità pescate dell’ordine di oltre 400.000 t. Il conflitto fra i risultati dei modelli che utilizzano informazioni con ampi margini di incertezza non permette una diagnosi univoca sullo stato attuale delle risorse, ove esistono differenze tra le specie e tra le aree di pesca.

Gli obblighi che sono stati caricati sui pescatori hanno motivazioni varie ma spesso sono state imposte misure che incrementano gli obblighi dei pescatori sulle quantità pescate, sulle quantità sbarcate, sulle aree di pesca, sull’attrezzatura per la localizzazione delle imbarcazioni così che tutti possono conoscere dove ogni imbarcazione pesca e se ha rispettato le aree di divieto di pesca. Il sistema dei verbale di infrazione prevede l’utilizzo di punti da togliere alle licenze di pesca per ogni frazione fino alla perdita di ogni valore per l’imbarcazione. Le limitazioni del tempo di pesca riducono le possibilità di lavoro e di guadagno favorendo l’esodo.

La situazione della pesca professionale in ambito mediterraneo mostra che vi sono diversi punti di contatto tra i vari Paesi dove alcune risorse biologiche sono comuni  e simili le tecniche di pesca. Le indicazioni sulla sostenibilità delle risorse mostrano che anche in altri Paesi mediterranei le situazioni sono simili, la pesca nel Golfo del Leone si è ridotta come in Adriatico e in molti porti le flotte da pesca sono scomparse, come le attività economiche collegate. È indispensabile bloccare la riduzione della pesca  ed avviare  una ristrutturazione del settore. La pesca artigianale, con piccole imbarcazioni, è l’attività di pesca professionale più diffusa in Mediterraneo. L’ampia varietà di attrezzi utilizzati, spesso con elevata selettività, permette di ipotizzare una sviluppo di questa tipologia di pesca. Gli attrezzi utilizzati non sono trainati su fondo, sono attrezzi fissi, ove sono gli organismi che si muovono e si fanno catturare. Un’elevata aliquota delle catture è fatta con attrezzi tipo nasse, cogolli, bertovelli, che mantengono vivi gli organismi e possono permettere il rilascio in perfette condizioni degli animali catturati di piccola taglia, o di specie non desiderate o protette. Queste tipologie di pesca costituiscono un esempio di pesca ecologicamente sostenibile. Anche altri attrezzi utilizzati nella pesca artigianale presentano un’elevata selettività. Il futuro della pesca, in Italia come nel Mediterraneo, può partire dal potenziamento di un nucleo di pesca artigianale, che viene sviluppato come attrezzi in base alla loro sostenibilità, ampliando l’area di utilizzo degli attrezzi  selettivi ed aree riservate a questa pesca,  di superficie crescente, così da estendere l’attività sostituendo gradualmente la pesca con attrezzi trainati. Un’attenzione particolare occorre riservare agli aspetti sociali ed economici in parallelo con l’ampliamento degli areali di  pesca riservati alle attrezzature fisse.

È possibile sperimentare sul territorio uno sviluppo di queste forme selettive di pesca individuando insieme ai pescatori il corretto rapporto tra il numero di attrezzi utilizzabili da un’imbarcazione per ottenere un ricavo dignitoso, con un lavoro che permetta ai pescatori di partecipare alla vita sociale come tutti gli altri lavoratori. Progettando, con il coinvolgimento delle diverse esperienze, l’utilizzo del territorio è possibile evitare un sovra sfruttamento delle risorse e  mantenere l’ecosistema marino garantendo uno sviluppo sostenibile al settore.

Il meccanismo da adottare sin dall’inizio è di determinare il numero di attrezzi fissi che può operare in uno specchio di mare, evitando uno sfruttamento eccessivo delle risorse. Non è un meccanismo che fissa le quote pescabili di ogni specie poiché la biomassa di ogni specie varia nel tempo, ma è  la determinazione del numero ottimale di attrezzi fissi utilizzabili in una certa area, attribuendo ad ogni pescatore la possibilità di operare con un numero/dimensione prefissata di attrezzi. Tutti i  pescatori attualmente operanti in un  certo areale dovrebbero partecipare alla gestione della pesca nell’areale, così come attualmente viene fatto dai consorzi gestione molluschi. In questa ottica di gestione degli spazi di mare un ruolo può essere riservato anche alla pesca da diporto, coinvolgendoli nella gestione degli spazi e delle risorse ittiche. Mareamico può essere di stimolo e di aggregazione per le nuove fasi di ripensamento e di sviluppo delle attività di pesca collegando ambiente e prelievo delle risorse.

 

Prof. Corrado Piccinetti

Mareamico – Fano

Delegazione Marche